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Ma S. Agostino non sopporta « aequo animo » questa ambizione e si scandalizza quando Varrone « pretende essere utile agli stati, che i grandi uomini, anche se è falso, si credano discendenti degli Dei, perchè in questo modo l’animo umano « velut divinae stirpis fiduciam gerens » con più coraggio imprende grandi fatti, opera con più veemenza, e appunto per quella sua creduta sicurezza riesce con maggior fortuna ».

Ma c’è di più. Siccome molti, nello sconvolgimento del quarto e del quinto secolo, facevano specialmente responsabili i principi cristiani della disgregazione generale 1, Sant’Agostino, per dimostrare che in verità si era sempre stati malissimo, non esita a fare un quadro terrificante della storia di Roma, in cui si passa da un omidicio a una strage, a una rivoluzione, a una carestia, ad una guerra disastrosa, ad un incendio funesto. Quelli che negli storici antichi sono i grandi secoli di Roma diventano un’età maledetta, donde il cristiano torce lo sguardo inorridito.

Non si capisce più come i Romani siano riusciti ad attraversare quelle età così calamitose, senza essere tutti distrutti. Lo Stato, oggetto per i Romani e per i grandi storiografi di una venerazione religiosa, diventa per S. Agostino uno scandalo che fa rabbrividire i secoli.

« Ma i cultori e gli adoratori di quei numi, dei

  1. (1) De Civit. Dei, III, 4.