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che è stato divulgato e scritto » 1 . Ciò che egli non osa sfatare sono quasi sempre certe calunnie, che giravano per Roma divulgate da anonimi in storie scandalose, di cui il pubblico naturalmente era ghiottissimo, tanto è vero che Tacito prega « coloro che leggeranno quest’opera a non anteporre quelle divulgatissime ed inverosimili storielle così avidamente ricercate, alle storie vere — « neque in miraculum corruptis » 2. Nè Tacito riferisce soltanto queste storielle, che avrebbe dovuto respingere sdegnosamente; ma pure avvertendo di non dar loro gran peso, le racconta in modo che paiono vere, cosicché spesso è riuscito ad accreditarle come storiche.
Molte delle favole che si ripetono anche oggi sul conto dei Giulio-Claudi come verità storiche, ci sono state riferite da Tacito come dicerie dubbie, come malignità velate, come sarcasmi in sordina, come supposizioni, raccolte perchè le ritrovava spesso sulla bocca della gente, ed esposte con un tono pacato, che più ancora dell’imparzialità, affetta l’indifferenza.
Ma quale è dunque la segreta ragione di questa potenza suggestiva? L’aver scritto una storia, i cui protagonisti sono degli uomini, e l’aver saputo descrivere questi protagonisti con la forza drammatica che un odio potente può suscitare in un grande scrittore di temperamento, oggi si direbbe, romantico.
Noi abbiamo visto che in Tito Livio il vero protagonista è il popolo, personaggio pieno di vita, ma