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più terribili accuse contro Roma e il suo impero, tramandate a noi dall’antichità.

Livio ingrandisce per contrasto la gloria e l’ammirazione di Roma, con il male che è costretto a raccontare.

Tacito accresce l’orrore per l’impero di Roma anche con i rari esempi di virtù, che inserisce nel lungo racconto dei vizi e delle colpe. Per quanto tradizionalista, come la maggior parte dei senatori del suo tempo, Tacito presente, senza saperlo, il Cristianesimo, e quel prevalere della morale sulla politica, in cui starà la grande rivoluzione cristiana. È già in un certo senso cristiana, e non è più romana, almeno al modo di Livio, la intrepidità con cui questo senatore infama tutto un secolo di storia dell’impero per castigare un certo numero di imperatori, da lui giudicati malvagi.

Ma se il giustiziere voleva scrivere la storia sine ira et studio, immolando alla giustizia anche la gloria di Roma, è poi riuscito ad essere giusto? Noi possiamo rispondere risolutamente di no. La storia di Tacito è scritta dalla passione, non meno di quella di Sallustio, anche più di quella di Livio. La sua passione non è, come in Sallustio, il risentimento politico di un partito perseguitato, ma l’odio di un’epoca contro un’altra epoca; l’odio che i suoi tempi, dopo esser riusciti finalmente a conciliare il governo senatorio ed il principato, sentivano contro i Giulio-Claudi, i quali intorno a questa conciliazione si erano inutilmente affaticati per tanti anni. Tiberio e Claudio avevano fallito più per colpa del