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sia filosoficamente vera, è riprovato per via indiretta dalla vivacità di cui si anima la storia di Livio, a mano a mano che questa dottrina domina e quasi guida la narrazione. Pur conservando una certa nobiltà ideale, il popolo romano si fa vivo a mano a mano che i difetti della ricchezza e della potenza escono dall’ombra dell’antichità incorrotta: l’indisciplina, la cupidigia, l’amore del lusso e dei piaceri, la gola e la sensualità, l’egoismo, l’invidia sopratutto, che distrugge Roma con la guerra intestina delle ambizioni e delle cupidige insoddisfatte.

« Qui si tratta della fama dei soldati, anzi universalmente di tutto il popolo romano »1, dice Servilio rampognando i soldati che si oppongono al trionfo di Lucio Paolo, « perchè il popolo romano non abbia fama di invidioso ed ingrato contro tutti i suoi più illustri cittadini, e non sembri con questo imitare il popolo Ateniese, solito a perseguitare con l’invidia i migliori. Abbastanza si peccò contro Camillo, il quale almeno fu offeso prima di aver riconquistato la città dai Galli. Abbastanza contro Scipione Africano. A Linterno si trova la casa del vincitore dell’Africa; e Linterno ostenta il suo sepolcro. Vergogniamoci se L. Paolo, uguale per gloria a tali uomini, sia loro uguagliato anche per l’ingiurie vostre. Cancelliamo finalmente questa nostra mala fama, sozza e vilipesa presso le altre genti e dannosa presso di noi. » Chi non riconosce qui l’eterna malignità

  1. Liv., XLV, 38.