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una scuola suppone maestri e discepoli, e qui i discepoli almeno mancano; è una pura dottrina, campata nei cieli della speculazione, un po’ confusa e nebulosa, come tutto ciò che è uscito dalla mente frammentaria di Carlo Marx. Nessuno storico l’ha ancora applicata in nessuna opera di polso. Ma come dottrina si presenta negli scritti del suo autore e dei suoi discepoli e commentatori in due vesti: più generale la prima, più particolare la seconda. La dottrina più generale vuole che i fenomeni della storia, la religione, la politica, il diritto, l’arte e via dicendo, siano una specie di drappeggiamento sontuoso, sotto cui si nasconde la greggia ed unica realtà degli interessi economici. Ma del materialismo inteso così io penso che sia una dottrina puerile, da non poter essere presa sul serio; immaginarsi se si potranno trovare le sue «formule» e i suoi «derivati» nell’opera mia! Che ogni istituzione o associazione umana di qualsiasi natura, politica, religiosa o intellettuale, debba tenere un libro di conti; che tutte le relazioni tra gli uomini di ogni specie, dalla famiglia allo Stato e alla Chiesa, siano regolate anche da una ragione di dare e avere, non vuol dire, che l’anima di quelle associazioni e istituzioni viva nel libro dei conti; vuol dire soltanto che, qualunque cosa gli uomini facciano, pensino o vogliano, hanno bisogno di nutrirsi e di vestirsi; che il prete deve vivere dell’altare, come il pittore del pennello, e il matematico delle formule. Più seria è la dottrina particolare e ristretta, che assume la trasformazio-