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co a poco si stacca da questa concezione sinché, senza accorgersene, la nega interamente, cercando di dimostrare che storia e filosofia sono una cosa medesima, ossia la dottrina in azione del progresso, inteso non «come passaggio dal male al bene, quasi da uno stato all’altro, ma come passaggio dal bene al meglio, in cui il male è il bene stesso, visto alla luce del meglio» (pag. 23).

Confronti il lettore il primo e il quinto capitolo; e subito si accorgerà che questo nega quello, illudendosi di svolgerlo. «La coscienza storica, in quanto tale, è coscienza logica e non pratica, e anzi fa suo proprio oggetto l’altra: la storia, che fu già vissuta, è ora in lei pensata, e nel pensiero non hanno più luogo le antitesi, che si fronteggiavano nella volontà e nel sentimento. Per essa non ci sono fatti buoni e fatti cattivi, ma fatti sempre buoni quando sieno intesi nel loro intimo e nella loro concretezza; non ci sono partiti avversi, ma quel partito più ampio che abbraccia gli avversi e che per avventura è appunto la considerazione storica... La storia non è mai giustiziera ma sempre giustificatrice» ( pagg. 76 e 77).

E ancora: «il vizio della storia negativa proviene dal separare e solidificare e contrapporre le antitesi dialettiche del bene e del male... Tutti i fatti e le epoche sono a lor modo produttivi; non solo nessuno di essi è al lume della storia condannabile, ma tutti sono laudabili e venerabili» (pag. 78).

E sia pure; ma addio, allora, contemporaneità della storia! La storia contemporanea consiste appunto