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Stato forte e accentratore col narrare la storia della Macedonia, della Prussia e dell'Ellade; e Grote a quella verso gli statuti della democrazia simboleggiata in Atene; e Mommsen all’altra verso l’impero, simboleggiata in Cesare; e Balbo effonde il suo ardore per l’indipendenza italiana, adoperando a tal fine tutti i ricordi delle pugne italiche, a cominciare nientemeno da quelle degli Itali e Etruschi contro i Pelasgi; e Thierry celebra la borghesia raccontando la storia del terzo stato» (pagg. 26 e 27).

Che Erodoto, Tito Livio, Tacito, Droysen, Grote, Mommsen, Balbo e Thierry non sieno storici ma falsi storici e poeti, è notizia che giungerà alquanto inaspettata a molti lettori. Se questi otto valentuomini, i quali pure godono di una certa rinomanza nel gregge di Clio, sono dei falsi storici, vorrebbe il Croce dirci il nome e cognome di uno storico vero? Ma la sorpresa cresce quando il Croce cerca di distinguere la storia falsa dalla vera, o, come egli dice, la storia poetica dalla storiografia. La storia poetica si esplicherebbe «nel surrogare al mancante interesse del pensiero l’interesse del sentimento» (pag. 26); mentre invece «il valore che regge la storiografia è il valore del pensiero. Ma appunto per questa ragione il principio determinante di essa non può essere il valore che si chiama di sentimento e che è vita e non pensiero; e quando questa vita si esprime e rappresenta non ancora domata dal pensiero, è poesia e non storia» (pag. 27).

Il principio, o la fonte, della storiografia o vera