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se è davvero storia, se cioè ha un senso e non suona come discorso vuoto, è contemporanea e non differisce punto dall’altra (la contemporanea). Come dell’altra, condizione di essa è che il fatto del quale si tesse la storia vibri nell’animo dello storico o (per adoperar una parola d’uso nel mestiere storico) se ne abbiano dinnanzi, intelligibili, i documenti... E se la storia contemporanea balza direttamente dalla vita, anche direttamente dalla vita sorge quella che si vuol chiamare non contemporanea, perchè è evidente che solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato» (pag. 4).

Il pensiero è abbastanza chiaro, anche se espresso in forma involuta e imprecisa. Non basta narrare un fatto per dirsi storici; bisogna farlo presente, come se noi ne fossimo spettatori ed attori; se no si ha «vuota narrazione... e perciò priva di verità» (pagina 9). «La storia è un presente; la storia, resa vuota narrazione, è un passato» (pag. 9).

Ciò detto il Croce procede a distinguere, come già aveva fatto Cicerone, la cronaca dalla storia. Ma non oppone l’annalistica alla storia oratoria, venuta dalla Grecia. I moderni son persuasi che anche in questo ordine di scritture ne sanno più degli antichi. «La storia — egli scrive — è la storia viva, la cronaca la storia morta; la storia, la storia contemporanea, la cronaca, la storia passata» (pag. 10). Indi scopre che le fonti da cui scaturisce la conoscenza storica sono due: la vita e il pensiero che la risuscita e la eterna. «Il documento e la critica, la vita e il