Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
114 | la palingenesi di roma |
uti sunt Perfidia et Iniustitia. Illam suadeo, hanc tolero, istam damno» 1.
Quel grido che era sfuggito un momento alla coscienza del Machiavelli a proposito di Agatocle e che, poi, l’autore stesso aveva rinnegato, quel bisogno di un limite al di fuori del puro interesse che il Machiavelli aveva saputo trovare soltanto nel successo, è qui chiaramente sebbene forse un po’ sommariamente inciso. Lo Stato ha certe libertà, ma non tutte.
Posto così il problema, si capisce che, in autori più profondi del Lipsio, il Machiavelli, le sue dottrine, i tempi in cui aveva vissuto e che le avevano ispirate, apparissero come nefasti e quasi diabolici.
L’Italia era allora travagliata da un’anarchia di principi e da quell’esautoramento dei governi, per cui s’era incrostata sulla Penisola una muffa di tirannelli privi di scrupoli, che applicavano fino in fondo la teoria dell’interesse proprio, senza che un limite morale o un interesse comune frenasse quel reciproco e continuo distruggersi. Siccome nessun principio di autorità li faceva legittimi, il Machiavelli osservava: i popoli sono cattivi, i principi birbanti; chi non bada come può a salvare la roba e la pelle, gli prendono la prima e gli fanno la seconda; se non l’ammazzo io, mi ammazza lui. È quindi consigliabile di cominciare per il primo. E diceva: «Un Principe, e massime un Principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose, per le quali gli uomini sono tenuti
- ↑ (1) Iusti Lipsi, Polit., IV, 14.