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da supplicare per vedere ancora
il lento fumo della mia serena
Itaca andare verso il cielo, e i boschi
ove cacciai col rapid’Argo, e l’alte
soglie delle mie case e la divina
Penelope e mio figlio! O maledetti
i Feacesi! Come un can tignoso
coi doni m’han lasciato in questa terra
spersa, e la terra mia lacrimo ancora.
Soffriró sempre, e mai potró giacere
sopra il mio letto? O casa mia lontana!
Quando s’alza il marino ebbro di sale
verso il tramonto, il mio vecchio Laerte
sta nel suo campo e guarda verso il mare,
se mai vedesse un veleggiar lontano;
e viene forse alle mie case, e parla
con la mia sposa un vïatore, e dice
d’avermi visto navigar la nera
nave coi miei compagni, e siedon tutti
al lauto pranzo, taciti, e col fumo
delle vivande, salgon le memorie
e dentro il vino mescesi l’angoscia...
(tace un momento, guardando sempre il mare)
Ecco la nave! Un punto che si perde
in mezzo ai punti... E l’infinito sta
per inghiottirla...
(tace di nuovo. Poi si china sui doni e incomincia a contarli)
Tutto c’è. L’ornata
anfora d’oro, il tripode superbo,
il peplo porporato ed il mantello