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come, a primavera, l’assillo sopra un branco di giovenche pascenti)


(voci confuse)


— T’ho preso! — I numi! — Vogliono che muoia!
— Oh! I tuoi capelli come sono biondi!
— Aiuto! — Grazia! — Non mi far morire!

(si vede Ulisse che ogni tanto ripassa sulla porta inseguendo i nemici fuggenti. E ne afferra uno pei capelli, e ne prostra un altro con un colpo violento. E uno cerca di scappare nell’atrio nascondendosi dietro i piedistalli corinzi, ma è ripreso sulla porta da un pugno di ferro, e la spada lo sbatte al suolo. E la tempesta è tremenda, nel cielo, e mugge il libeccio attraverso le colonne. Sono ormai tutti finiti. I corpi, nella corte, giacciono bocconi e riversi, con ancora la bocca aperta al grido. E Ulisse discende la scala e casca, sfinito, sopra un giaciglio. E corre allora alle sue ginocchia il cantore Femio, gettando la cetra)


FEMIO
Ulisse! Grazia! Mi prostro ai tuoi
ginocchi, qui: forse, in futuro, il povero
cantore ucciso ti sarà rimorso.
Sono un poeta: e per il mondo canto,
uomini e dei. Canto la terra e il cielo,
ho appreso l’arte come un’ape impara