dell’ «Israel»), pregandolo di tenerlo per qualche ora finchè la minaccia sia passata. Il Franchetti — che abitava una palazzina nello stesso giardino (la missione di Leo non poteva quindi in alcun modo essere sospettata dall’esterno) — fa una scenata a mio figlio, rifiuta di prendere il manoscritto, e poco dopo ci manda a dire dal portinaio (spia della Questura) che egli si meraviglia assai che Ferrero gli mandi delle «carte compromettenti»; che ricordi bene di non seppellirle in giardino, perchè egli stesso, barone Franchetti, denuncerebbe la cosa alla Questura.
Le squadre devastatrici non entrarono nella nostra casa e il manoscritto fu salvo. Questo atto però di incredibile viltà da parte di un intellettuale, che sapeva quale importanza avesse per uno scrittore un opera a cui da dieci anni lavorava; questa vigliaccheria da parte di un amico, il figlio del quale era stato per noi un secondo figlio, impressionò Leo, come prova sopratutto di quella bassezza morale che la