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leo ferrero


Forse sentivo il terrore di una segreta onnipotenza. Roma è l’urbe tirannica. Splendida e indifferente, si vendica dei piccoli uomini che hanno il coraggio di vivere tranquillamente dentro la cerchia delle Mura Aureliane, facendone la propria preda. A Roma, io mi sentivo prigioniero di quella sterile sontuosità, come una barca arenata tra le sabbie mobili di un estuario.

La luce o i secoli, il colore o i ricordi, il chiasso o il silenzio, il lastricato o il cielo avevano tanto potere sulla mia vita interiore. Non so; ma mi pareva di essere l’ombra di quelle mura, da cui trasudavano la disperazione o la gioia. Non gli eventi, e nemmeno le donne erano la ragione del mio quotidiano umore; ma la città stessa, che faceva di me, contro il mio volere, un uomo felice o infelice, appena la mattina avevo respirato il suo odore vagamente marino. Tutto quello che avevo pensato e sofferto a Roma, i miei più antichi sentimenti e le mie passioni, invece di svaporare col tempo, si


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