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perchè dà quel misterioso senso di impaccio e di credulità mettendosi quindi dal punto di vista delle pecore, mentre il «nulla veggendo da saltare» è il punto di vista ragionevole.

Confronta ancora la tirata sulla nobiltà di sangue nella prosa del Convito e nel Paradiso.

Nel Convito è così:

«O voi, che udito m’avete, vedete quanti sono coloro che sono ingannati! cioè coloro che, per essere di famose antiche generazioni e per essere discesi di padri eccellenti, credono essere nobili, nobiltà non avendo in loro. E qui surgono due quistioni, alle quali nella fine di questo Trattato è bello intendere.

Potrebbe dire ser Manfredi da Vico, che ora Pretore si chiama e Prefetto: «come ch’io mi sia, io reduco a memoria e rappresento li miei maggiori, che per loro graziosamente posto, e le progenie, ovvero schiatte, non hanno anima, siccome è manifesto, nulla progenie, ovvero schiatta, dicere si potrebbe nobile: e questo è contro all’opinione di coloro, che le nostre progenie dicono essere nobilissime in loro cittadi.

Alla prima quistione risponde Giovenale nell’ottava Satira, quando comincia quasi esclamando: «Che fanno queste onoranze che rimangono degli antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare, male si vive; se per colui che delli suoi antichi ragiona, e mostra le grandi e mirabili opere, s’intende a misere e vili operazioni? Avvegnaché (dice esso poeta satiro) chi dirà nobile per la buona generazione quegli che della buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante....»

(Convito, Trattato IV, cap. XXIX)

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