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Tutte queste cose si toccano in quelle parole, là dove dice essere egli stato nel primo cielo, e voler narrare del regno celeste tutto quello che poteva ricordare.
«Veramente quant’io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro,
3Sarà ora materia del mio canto.»
Paradiso, I, 10-12
Nessun dubbio che Dante ha scritto solo quel che aveva dentro senza subire l’influenza della moda, dei potenti, e neppure del proprio interesse:
«Io mi son un che quando
amore spira, noto; ed a quel modo
3Ch’ei detta dentro, vo significando»
Purgatorio, XXIV, 52-54
Ma questo non prova affatto che abbia scritto senza riflessione e «come vien viene».
La conoscenza profonda che Dante ha del cuore umano, che dà al poema di Dante tanta vivezza, tanta spontaneità, verità e drammaticità, viene dalla sua intuizione. Il suo libero parlare, che sfocia in così stupende invettive, viene dalla sua rettitudine, dalla sua logica e dalla sua sincerità; la magnificenza del quadro in cui compone il dramma, la varietà e la molteplicità delle immagini, vengono dalla sua imma-
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