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Nella poesia di Dante niente è impreciso, niente lasciato all’azzardo:

«....e dismontiam lo muro;
Ché com’io odo quinci e non intendo,
3Così giù veggio e niente raffiguro.»

Inferno, XXIV, 73-75


«E sì come di lei bevve la gronda
Delle palpebre mie, così mi parve
3Di sua lunghezza divenuta tonda.»

Paradiso, XXX, 88-90


«Non è fantin che sì subito rua
Col volto verso il latte, se si svegli
3Molto tardato dall’usanza sua,
Come fec’io....»

Paradiso, XXX, 82-85


«E quale il cocognin, che leva l’ala...»

Purgatorio, XXV, 10


«A pie’ a pie’ della stagliata rocca...»

Inferno, XVII, 134


Non dice che vedeva e sentiva male, precisa: che udiva e non capiva, vedeva e non raffigurava. Non si contenta di dire che «beveva Beatrice con gli occhi», precisa che ne beve l’immagine con la gronda delle palpebre. Così, il bambino non si volge verso la madre, ma verso il

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