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del cuore umano, e non cercherei di scrivere per il teatro se l’uomo, con tutte le sue passioni, non dovesse esserne il centro».

Goldoni cercava un effetto direi quasi decorativo nella stilizzazione dei caratteri, che si rispondevano in una stessa commedia come gli strumenti di un’orchestra; e il teatro francese contemporaneo, più che del verismo, cerca un altro effetto decorativo, nella scomposizione dei caratteri e quindi nell’approfondimento della loro natura.

Quello che scrive Tilgher, parlando della scomparsa del tipo, considerato come «ciò che in ciascuno di noi c’è di identico e di permanente» è dunque giusto, se inteso, non come la condanna della psicologia, ma come la sua rivalutazione.

Su questa terra comune ogni drammaturgo ha edificato il suo teatro, ed è veramente cosa rallegrante guardare questa folla di buoni scrittori, che poche generazioni hanno saputo darci, e che lo spirito ordinato della Francia ha diviso e raggruppato in teatri, come il Vieux Colombier et la Chimère, in case editrici e riviste, dandoci un esempio di coordinata e musicale civiltà letteraria.

Firenze, giugno 1927.

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