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segreto di questa bellezza, non è il vomere, il dentale, o la manecchia, considerati in se, ma la composizione di questi strumenti rozzi in un insieme che è musicale, perchè non ci si trova nè sforzo nè parte superflua.

E’ necessario ad ogni modo fare una distinzione fra due drammaturghi come Géraldy e Amiel e un drammaturgo come Vildrac. Perchè Géraldy e Amiel, più disinvolti forse sul palcoscenico, sanno nascondere questa nudità sotto un’amabile negligenza, per cui da principio sembra che si gingillino tra gustosi particolari d’ambiente, come per una soddisfazione di buoni fiorettatori; ma ci si accorge poi che sotto quei falsi indugi il dramma si sviluppa senza sciupare una battuta. Mentre Vildrac ostenta questa essenzialità con tanta compiacenza che ha l’aria di volerla sfruttare come per un nuovo effetto oratorio.

All’effetto oratorio della semplicità, s’accompagna una tecnica, contrapposta al mestiere del vecchio teatro, così simmetricamente, da diventare un nuovo mestiere. Il mestiere dell’antiteatro, e cioè la semplificazione piuttosto volontaria, che spontanea, dell’architettura. E qui si corre di nuovo un pericolo, perchè la tecnica, di cui noi tutti siamo abituati a dire un gran male, come di qualcosa che si contrapponga alla poesia, non è poi che Tarte della composizione,


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