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pare, formidabile e sempre spalancata, la tragedia interna di questa doppia e inconciliabile umanità. Ma l’una e l’altra, cercando di sopraffarsi, si mettono in valore, come due lottatori tendono i muscoli. A questo si aggiunga il senso veramente tragico che è nello stile — crogiuolo duro, grosso e sovrano, in cui la materia deve essere sciolta e ricostruita continuamente — tanto che alle volte si ha come l’impressione che, sentendosi violare e struggere, essa si divincoli; mentre con stupefazione vediamo diventare enormi e immobili certe nuances fuggevoli di sentimenti che bisognerebbe appena suggerire.

Lo stile a poco a poco s’addensa, s’ingrandisce, fino a prender la mano allo scrittore, e a ridurlo, come se fosse materia, suo schiavo. Da questa battaglia, certe pagine escono trafelate e sciupate, altre morte; ma l’insieme conserva quel senso di robusta pienezza che non ha niente a che fare con la Bibbia vera e propria, ma che riesce a chi sa sfruttare la Bibbia da un punto di vista moderno e per questo molto più chiaroveggente.

In Ghéon tutto Claudel è più semplificato. In Raynal poi è addirittura disciolto. Nel «Tombeau sous l’Arc de Triomphe», il ritmo si barcamena tra la poesia e la conversazione e per regolare e comprimere questa prosa che sgron-

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