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soffrire — tanto è vero che, quando siamo disperati, vorremmo scatenarci d’intorno una tempesta e declamare, senza temere la meraviglia degli uomini, come il re Lear.
Ma allora mi resi conto del secondo elemento del teatro di Jean Jacques Bernard e di Géraldy: la espressione dei sentimenti drammatici in parole povere — in parole, come quelle che veramente avevo detto alla mia amata, salutandola. E non era forse il mio buonasera molto più tragico che una scena d’addio? Più tragico, anche perchè gli era unito quel rincrescimento intimo che ci dà un’espressione inadeguata.
Ma qui dovetti concedere che questa rinuncia era permessa soltanto ai forti; perchè a ogni autore vien fatto piuttosto di sfogare sulla scena, dove trova il consentimento dell’abitudine, le sue proprie pene, compresse, nella vita, da quello stesso pubblico che le ammette a teatro.
Così si spiega, del resto, come il pubblico dei grandi teatri non possa far buona accoglienza a questo genere drammatico. Un pubblico un po’ grosso e assai mescolato, d’istinto esige che la scena cominciata si svolga come teatralmente è stabilito, e come egli — dotto in intrighi di vecchie commedie e ormai perspicace a indovinare i finali — prevede; ma se trova sul palcoscenico una scena come quella che gli capitano
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