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In alcune opere le parole non bastano; queste opere possono richiedere per esser complete un accompagnamento scenico, decorativo, o anche musicale; e allora coi colori e colla musica bisogna compire questa integrazione. Ma altre opere, forse più potenti, hanno già in sè tutti gli scenari e tutta la musica. La Roma imperiale, — dicono i nostri amici di Francia — è pienamente contenuta nei versi del Britannicus di Racine; e allora non bisogna, cogli scenari, aggiungere all’opera ciò che essa ha di già, creando così una sovrabbondanza di espressione. Gli scenari devono perciò esser ridotti al minimo, anche a una sola tela di fondale. Ma i limiti più importanti nascono dalla natura stessa del teatro. Un romanzo e una lirica possono essere analitici, sintetici, frammentari, costruiti, o solamente musicali, o solamente descrittivi. Nella nostra epoca di decadenza si abusa anzi di questa libertà e la letteratura vuol sostituirsi alla musica e alla pittura; la pittura vuole essere filosofica, o peggio ancora «dinamica» (esprimere cioè il movimento), certo sempre «cubista» (principio della scultura); la musica si compiace delle imitazioni pittoriche e ama rappresentare i colori, il romanzo vuol esser lirico, e la lirica descrive i paesaggi.
Anche il teatro si è messo su questa strada. A volte vuole imitare il romanzo, in un analitico
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