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e delle arti figurative, che cosa può mai pretendere da una film e come può giudicarla? Così i direttori barcollano in questa immensa libertà come ciechi e le loro opere hanno tutte un marchio di non so che vertiginosa inquietudine.
I direttori di una film per grandi cinematografi, invece, hanno da lottare contro il tempo, che è dato e non può essere mutato, contro la fatica del pubblico, che deve ogni tanto riposarsi; — e queste due leggi sono come quelle che regolano le strofe dei poeti — i direttori devono tener conto del buon senso, che il pubblico non vuol vedere troppo manomesso; della psicologia, che vivifica i personaggi e ne fa degli uomini atti a commuovere; della verosimiglianza, che proibisce di congegnare gli avvenimenti ad arbitrio; della chiarezza e sopratutto dell’interesse immediato.
Tutti questi impacci dati, contro cui i direttori devono lottare, rappresentano la durezza della materia cinematografica, la resistenza di quest’arte; sono, per il cinema, quello che per il poeta è la metrica, per il drammaturgo la legge del teatro, per lo scultore il marmo. Nessuna arte può crescere se non lotta contro delle opposizioni, che la fortificano e la regolano, anche se sono arbitrarie; perchè le arti che se ne sono liberate diventano povere e fiacche; e muoiono
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