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suo saggio su Leonardo, perchè aveva versato su Leonardo e sull’arte figurativa le considerazioni e meditazioni che da anni aveva fatto su Dante e sulla poesia. Ma questi appunti riletti ora, mentre cercavo la formula di cui Leo si era servito per i suoi drammi e per i suoi romanzi, mi apparivano sotto luce diversa: mi dicevano che con essi, come con gli studi citati più su, come con quelli già pubblicati da noi (Meditazioni sull’Italia, Leonardo o dell’Arte), egli voleva perseguire costantemente lo stesso scopo: staccare la sua generazione dal decadentismo in cui s’è impigliata, così nell’arte come nella morale; mostrarne i pericoli; scendere i grandi autori dal piedestallo accademico che li allontana da noi, accostarci ad essi, allargarne la cerchia dei discepoli, scoprirne i segreti, riesumarne la tecnica, farne dei compagni, degli amici a cui chiedere consiglio, illuminazione e appoggi per riportare l’arte sulle rotaie classiche.
Questo scopo diventava evidente esaminando non solo il testo ma le iscrizioni che portano questi appunti: «Perchè Dante sembra subito bello»; «Ricerca degli effetti»; Efficenza dello stile»; «Come Dante dà il senso del divino»; etc.
Ho riunito pertanto questi «appunti» a quelli sull’arte drammatica e cinematografica,
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