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«Io vidi una di lor traggersi avante,
Per abbracciarmi, con sì grande affetto,
3Che mosse me a far lo simigliante.
Oh ombre vane, fuor che nell’aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
6E tante mi tornai con esse al petto.»
Purgatorio, II, 76-81
Questo dimenticarle accresce in noi la sensazione dell’anormalità e della fatale necessità di quei mondi.
Più si tratta di cose divine e arcane, più Dante le riattacca con le immagini all’umano. E questa, che dà al poema un senso di lirica soda e sostanziale, era poi la sola maniera di risolvere il problema del soprannaturale in arte, senza cadere in uno stucchevole e facile delirio di immagini. Dante aveva dunque perfetta conoscenza di questi problemi.
Bisogna notare però che la maggior parte delle immagini con cui Dante suol rendere le cose divine, sono tratte dal campo del sentimento o da quello del pensiero, che sono in verità i due mondi più misteriosi e in un certo senso più divini che siano sulla terra.
Dante nel momento supremo della Commedia, quando si immerge nella contemplazione di Dio, si serve come similitudine di un geometra
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