Pagina:Ferrero - Angelica, 1937.djvu/24

xx introduzione

diale; è il loro primo affacciarsi alla vita: il dramma psicologico della giovinezza, l’aspirazione all’amore, l’effervescenza dei sensi, i sogni dell’avvenire, le prime disillusioni. Sullo sfondo — il grande tumulto armato del mondo, che incomincia. Nei romanzi seguenti gli adolescenti sarebbero divenuti degli uomini, in mezzo al grande tumulto.

Tale era l’affresco, di larghe dimensioni e brulicante di figure, che egli desiderava dipingere al suo ritorno. Contava di stabilirsi in campagna e di lavorare intensamente. A New Haven aveva molto letto, meditato e conosciuto giovani studiosi di tutti i paesi. La cultura e l’umanità dei Cinesi e degli Indiani gli avevano fatto la più grande impressione. Le lettere, sopratutto quelle scritte dal Messico, dove era andato nel giugno del ’33, esprimevano la gioia dei risultati ottenuti e dei progetti che si precisavano nella sua mente.

Uscito vittorioso dalla prima prova dell’esilio, s’accingeva a raccogliere finalmente i primi frutti del suo sforzo e del suo sacrificio. Fra qualche giorno si sarebbe imbarcato per il Giappone e per la Cina! All’improvviso il 26 Agosto, un telegramma ci annunziò che tutto era finito, in un istante. Era stato invitato ad una gita in automobile nei dintorni di Santa Fè, da una signora che aveva per lui grande ammirazione. Un’ora prima egli le aveva detto: «la morte non è una tragedia, tragedia è talvolta la vita quando è guasta e insozzata». Durante la gita parlava del suo romanzo e della scena che più lo preoccupava, la morte di uno dei suoi personaggi. A un certo punto, si volge alla signora e le domanda: «Qual’è, secondo lei, l’ultimo pensiero di un morente?». In quell’istante avvenne il cozzo; ed il suo spirito volò verso l’infinito.