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introduzione xvii

terrestri, perchè non sentiva il suo genio legato ad una formula strettamente nazionale. Aspirava a creare un’opera di valore universale, in cui la poesia darebbe anima e forma a una filosofia originale della vita. Ma in un paese, in cui era soltanto un ospite simpatico, il compito era anche più difficile che in Italia, dove avrebbe potuto far valere i suoi diritti di figlio. Doveva impadronirsi della nuova lingua e farne il suo strumento letterario. Doveva adattarsi al nuovo ambiente senza rompere i legami col suo paese, a cui pensava sempre e dove sperava di tornare. E occorreva risolvere questa specie di quadratura del circolo vivendo a Parigi, con mezzi modesti, in una situazione di pericoloso privilegio.

Parigi è un oceano; e come l’oceano inghiotte spesso coloro che ne affrontano i flutti. Non c’è città al mondo dove la frivolezza e l’eroismo, il vizio e la virtù, la depravazione e la santità, il sibaritismo e l’ascetismo, l’effimero e l’eterno, il convenzionale e l’assoluto, il brutto e il bello, le peggiori tentazioni ed i migliori esempi si mescolino e si azzuffino in un caos, meglio equilibrato dal furore di una lotta incessante, che ricomincia sempre e non finisce mai. Non c’è città in cui sia più facile di vivere, se si vuole, al di là delle contingenze, sull’orlo dell’assoluto, assorti nell’eterno; ma in cui sia necessaria maggiore energia per lottare contro la mobile voracità della moda, contro la pigrizia tirannica delle convenzioni, contro gli allettamenti fallaci dell’effimero: piaceri e successo.

Che tormento era per noi — per sua madre e per me — laggiù a l’Ulivello, il pensiero di Leo lontano, solo, nella immensa città, alle prese con un compito così diffìcile; solo, poiché i nuovi