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introduzione | xi |
Il successo del resto incoraggiava allora i suoi tentativi. La critica, come ho già detto, aveva salutato le sue «Campagne senza Madonna», rappresentate a Roma nel 1924 — egli aveva 21 anno — non come «promessa» ma come una affermazione già matura della nuova generazione. Pirandello lo chiamò a far parte del «Teatro dei Dodici» un’associazione di drammaturghi che doveva rinnovare il teatro italiano. Entrò in rapporti con J. J. Bernard, con Baty e la «Chimère» per preparare una specie di alleanza tra i teatri di avanguardia dei due paesi. Giornali e riviste italiane gli offrivano le loro colonne e gli articoli di letteratura e d’arte che pubblicava erano segnalati, riprodotti e discussi con simpatia.
«Quella era l’epoca dei grandi progetti», scriverà più tardi nei suoi «Carnets». — «Io facevo allora dei piani... credevo nella loro riuscita...» Ma come sfuggire allo scatenamento di tanti fanatismi, tutti a freddo, intenzionali, interessati, intrattabili, poiché non erano che la maschera dell’odio, della cupidigia, dell’ambizione; e quindi tutti d’una malafede così totale, che non si curavano nemmeno di nasconderla? A poco a poco Leo si vide circondato dalle fiamme. Che fare? Non si ribellò subito; si sforzò dapprima di non rompere, pur senza smentirsi, coi fanatismi che almeno non erano lordi di sangue: primo riscatto dei privilegi che avevano fiorita la sua infanzia.
Leo era un’anima forte nella sua dolcezza. Accettò questa prima prova senza lagnarsi. Ma la prova diveniva più crudele man mano che egli si fortificava resistendo. Un giorno, alla fine, il diabolico caos precipitò in un dispotismo ombroso, inquieto, incapace di sopportare la minima opposi-