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introduzione | ix |
questioni filosofiche era per me un esercizio piacevole ed utile. Fu così che nelle nostre passeggiate vespertine, andando ogni sera dall’Ulivello a Strada in Chianti a prendere la posta, vidi svilupparsi giorno per giorno come una pianta, le idee che ha esposte nel suo «Leonardo». Quella intelligenza giovanile — che si aggirava con tanta facilità e sicurezza in mezzo a difficoltà in cui tanti filosofi si erano perduti, che si rivelava a sè stessa, trovando ai problemi più ardui delle soluzioni così semplici, che tutti, si sarebbe detto, avrebbero dovuto trovare, ma alle quali nessuno aveva pensato — era per me una rivelazione gioiosa, che si rinnovava quasi ogni giorno. Ricordo la sera in cui, mentre tornavamo da Strada e ammiravamo assieme un meraviglioso tramonto che imporporava le nostre belle colline, mi espose l’ultima idea che gli era venuta, per risolvere il problema che da un secolo e mezzo affaccendava i filosofi e agitava le cattedre: in che sono diversi il bello di natura e il bello dell’arte. Aveva trovato una soluzione così semplice, così luminosa, così definitiva che pareva cosa da nulla.
Con lo sviluppo dell’intelligenza, l’anima sfolgorava. Leo è sfuggito a tutte le perversità e a lutti i traviamenti della giovinezza. C’era in lui qualche cosa di angelico: non trovo altra parola per esprimere quel non so che di puro e di nobile, di allegro e di gentile, di dolce e di robusto, di cui l’anima sua riluceva. Non esagero, affermo una cosa che è vera alla lettera: non l’ho visto mai in collera. E non ho conosciuto un giovane più incapace di invidia e di rancore.
Un’incarnazione di Ariele. Ma che tempesta si è scatenata su questo fiore, proprio al momento in cui si apriva!