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mo precisamente il come, ma egli erasi trasferito a Roma in casa di suo fratello Guido Antonio. Una lettera del 2 diretta dagli oratori ducali ivi residenti al Moro, ci prova che essi attendevano a spiare tutti i passi del Simonetta presso il pontefice, i cardinali, e gli ambasciatori, col proposito di opporsi per ogni maniera, in conformità alle ricevute istruzioni, a che egli conseguisse cosa alcuna contro il desiderio del duca di Milano. Tuttavia, se le informazioni del Litta sono esatte, Sisto IV, per approfittare di Antonio come di un emigrato politico, gli conferì l’impiego di suo scudiero, promettendogli grande assistenza anche in avvenire. Dalla lettera testè citata apprendiamo che il Simonetta abbandonò Roma per la peste, e si recò, insieme col cardinale di S. Marco, ad Orvieto. Ma quali altre vicende ei corresse, e quando morisse, ci è ignoto.

Morto Antonio de’ Mirani da Vailate, il duca affidò la cura della rocchetta di S Maria a suo figlio Giovanni, giovine non punto degenere dai lodevoli costumi del padre1, associandogli per compagno un tal Contino da Robiate suo congiunto.

Egli doveva avere dodici paghe (compresa una morta per la sua persona), metà balestrieri, e metà pavesari, col mensuale stipendio di tre fiorini per ogni paga, ragguagliato il fiorino a 32 soldi. Il socio Contino, annoverato nelle dette paghe, doveva percepire, oltre la sua, altra mezza paga morta.

  1. Vedi la lettera ducale del 9 d’aprile, 1481.