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nella seconda delle sue Lettere lombarde (in data del 1758) afferma che a quei dì mostravasi ancora la camera dov’era stato prigione l’infelice principe, sulle pareti della quale leggevasi il motto: Tal a mi, quale a ti; rispondente, a nostro avviso, all’evangelica sentenza: Qua mensura mensi fueritis, remetietur et vobis. Il citato Ferrari propende a credere che ve lo abbia fatto scrivere lo stesso Barnabò a sfogo di sua rabbia, ma non adducendo egli alcuna prova, a noi parrebbe più vicina al vero l’ipotesi, che quelle parole sieno state scritte dopo la morte di Barnabò da qualche meditativo custode o visitatore del castello. Ora di ciò più non rimane vestigio.

I due figli Rodolfo e Lodovico, che dopo l’arresto erano stati rinchiusi nel castello di S. Colombano, furono, morto il padre, trasportati in quello

    vico il Moro, da noi scoperta nel carteggio diplomatico Sforzesco. Vi si racconta che il protonotajo Torello voleva ammogliarsi, ma che esso Arcimboldi avutolo, non sapiamo per qual colpa, in suo potere nel castello di Trezzo, così lo andava ammonendo «che nostro signore Dio è gran maestro, non patisse essere caleffato (deriso) che, quando gli è promisso, conviene observarli la fede; et chel prothonotario era in sacris per essere sottodiacono, et però dovesse advertire che sono stati molti quali hanno voluto fare simili tracti, et all’ultimo ne hanno havuta pocha consolazione, tochando lo exemplo del Sig. Barnabò, inter alla exempla, qual prima se era dato al ecclesiastico, perchè fu ordinario in Domo et poi, defuncto ejus patruo che fu signore de Milano in temporale et spirituale, luy per cupidità de dominare abandonò la via sacerdotale: et fece poi el fine miserabile che ogniuno sa nel castello de Trezo che luy proprio havea facto fare.»