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posito Pizzighettone. Arrestato adunque la notte del 13 di maggio, 1704, e tradutto in quella fortezza, fu rinchiuso in due piccole camere, murata la finestra prospiciente al di fuori, e con proibizione assoluta di scrivere. Taceremo per amore di brevità i curiosi particolari della sua prigionia per dir tosto che, rumoreggiando nel giugno dell’anno seguente la guerra nei dintorni, egli, temendo i rischi di un assedio, addutta per motivo la mal ferma salute, implorò dal governatore Vaudemont che lo traesse dall’inferno di Pizzighettone facendolo trasferire in luogo più spazioso e salubre. Fu esaudito, e condutto a Trezzo dall’ajutante del principe don Leonardo. Ma qui pure, come già aveva fatto coi primi suoi custodi, riuscì a corrompere il castellano, e poichè profundeva il denaro, di cui abondava, massime per non essersi sottoposti a sequestro i suoi beni, continuò come sempre a ordir trame, instando senza posa per la sua liberazione. Allorchè poi Eugenio si avvicinò colle sue truppe all’Adda, per timore che egli liberasse il marchese a cui lo legava una lunga amicizia, il Vaudemont fece ricondurre il Pagani nel primo luogo di reclusione. Ivi, preso da melancolia, cercò un sollievo nel poetare in cui era valente. Intanto Eugenio tentava di gettare un ponte a Svisio nel Bergamasco rimpetto a Trezzo; ma non essendogli riuscito per le sponde alte e scoscese, risolvette di forzare il gran ponte a Cassano, dove si diede quella battaglia (15 d’agosto) che pose termine alla campagna del 1705.