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45Degne d’un Dio promette gioie Amore
Al fervido garzon. Ardon le vene
D’inusitata fiamma e i polsi e l’ossa;
Però che debil nel gioir si sente
Colui che forte era nel duol. «Fia mia!»
50A quando a quando esclama e poi si vela
Per estasi gentil la sua pupilla.
Indi si scuote e fuor la pioggia ascolta
Scrosciar dirotta e se ne allegra. Ah tutto
Assume un lieto e per lui nuovo aspetto
55Nel qual riflesso un vivo raggio ei mira
De’ suoi contenti. Oh sì divino incanto
Durar può mai se nei terrestri ha loco?
No, che durar non può. Del cielo è un lampo
Ch’è guida al ciel. Oh guai a lui che in turpi
60Piaceri involto quel benigno lume
Smarrisce! Egli erra per deserte lande,
Per aridi deserti ove non suona
D’amor la voce ed il brutale impero
Del senso ha seggio che lo spirto ancide
65Di fior pascendo fetidi i suoi ciechi
Sudditi abbietti. Ah dal divin delirio
Non ti destar che te fa pari a un Nume!
O se svegliar ti dèi, deh ciò non fia
Se non di là dalla terrestre sponda.
70Non venga il dì che invidïar te stesso
Tu debba e dir: «Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria!» Ah no! garzon, l’avello
Trascegli in pria; l’avel sacro rifugio
75Dell’anime sublimi; e te sottragga
A quell’ambascia che l’intera accoglie
Eternità di duolo in un’istante!
Scendi, garzon, felice nella tomba;
E ognun vi scenda al quale amante core
80Palpiti in sen; perchè martiro atroce,
Incomportabil sol l’attende in terra.

          Apre secreto un’andito
     Del giovane alla stanza;
     Di passi un lieve strepito
     85Fu udito in lontananza
     E poscia incerto e timido
     Comparve un cavalier
     Laddove è ancor Lotario
     Assorto in un pensier.

          90E mentre cauto inoltrasi,
     Volgendo il prence il viso
     Vede colui che tacito
     Par da timor conquiso;
     La mano al brando correre
     95Volea; ma proferì
     Quegli un’accento; e rapido
     Lo sdegno suo sparì.