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218 quinto intermezzo


Che folle gioia danzare ne le tue braccia possenti,
Come portata dal mare, come aggirata dai venti,
Col viso stretto al tuo petto, bevendo il tuo ebbro diletto,
Bevendo te pien di me che un tal paradiso aspetto!
E dormi ancor! Palpitando le man ti bacio; che gel!
Che gel! Non so, non intendo che abbia la mano fedel.
Tremo, mi slancio alla bocca; è gel! T’abbraccio sul cor;
Tace! Che angoscia! M’ascolta; ti parlo a ginocchi, amor.

Odi ben, ti parlo grave, se lasciarmi pensi è male,
Tu lo sai cos’hai giurato, non puoi farti disleale.
Dimmi in che t’offesi mai, qui lo dici a Dio presente,
Egli giudichi se amai! Terra e cielo mi eran niente.
A me stessa cara io fui sol perchè mi avesti cara,
Patria, casa e madre mia senza te mi parve amara.
Nulla posso ancora offrirti, tutto, misera, donai,
E tu freddo, senza un bacio, da me tacito ten vai.
A te grido, al mondo, a Dio, chiamo, chiamo, mi dispero;
Ahi per me nessuno è pio, tutto è sordo, è muto, è nero.

Oh signor, tu sei sovrano, la mia bocca or delirava,
A tua posta vieni e parti; che t’importa s’io t’amava?
Ma pur se una volta ancora, se un’ora sola, un istante...
(Eri sì dolce e clemente, eri sì tenero e amante!)
... Se, sorridendo di questa tua semplicetta che resta,