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86 | fausto. |
nè mi sgomenta l’incarico di procacciarteli; ma verrà tempo ancora, mio buon amico, che noi ci staremo oziosamente a godere di cose che non ti parranno ingannevoli.
Fausto. Oh se avvenga mai che io mi corichi neghittoso nelle morbidezze, sia allora a un tratto la mia fine; se tu puoi tanto aggirarmi e ammaliarmi ch’io mi piaccia di me medesimo, se sai trovare dolcezze che mi facciano inganno, io voglio allora chiudere subitamente i miei giorni. Orsů, io scommetto teco.
Mefistofele. Vada!
Fausto. Pon su la mano! E s’io dirò mai al fuggevole istante: «Oh, tu se’ bello! dura, tu sei sì bello!» allora tu mi cingerai di catene; allora io inabisserò teco volentieri; allora la campana suoni a morte; allora tu sei sciolto di ogni tua servitù: non più il Sole misuri il giorno per me; il tempo sia consumato.
Mefistofele. Pensaci bene, perchè noi l’avremo in memoria.
Fausto. E sarà ragione. Non credere ch’io abbia troppo presunto di me, nè parlato spensieratamente. Poichè è mio destino ch’io sia schiavo; che fa a me se tuo o d’altri?
Mefistofele. Or bene, festeggisi oggi un sì bell’accordo, e, come tuo, io ti servirò di mia mano alla mensa. Ma, di grazia, un sol motto! — Dalla vita alla morte, non vorrestu farmi una coppia di righe?
Fausto. Pedante! tu richiedi anche uno scritto? Hai tu a conoscere ora l’uomo e il valore della sua parola? Non ti è abbastanza ch’io abbia con la mia