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78 fausto.

spazio, e si risolverà tosto in nebbia. Oh, non andarmi ad urtare il soffitto! Pònti a’ piè del tuo signore; ben tu vedi ch’io non minaccio invano. Or sì ch’io l’abbrustisco col fuoco sacro! Vien qui, dico, non aspettare la rovente triplice luce; non ch’io faccia la più terribile delle mie arti.

Mefistofele. (Mentre la nebbia si dissipa, egli esce di dietro alla stufa nella veste di uno scolastico errante.) A che tanto fracasso? Che posso fare in vostro servigio?

Fausto. Ora è dunque il midollo del barbone questo? Uno scolastico errante! Io non so tenermi di ridere a tanta stranezza.

Mefistofele. Buon dì, mio dotto signore. In mia fe’ che mi avete fatto sudare.

Fausto. Come hai tu nome?

Mefistofele. Simile inchiesta mi par frivola troppo in bocca d’un sì gran disprezzatore della parola, di tale che, rifuggendo dalle apparenze, vuol sempre penetrare all’occulta essenza delle cose.

Fausto. Coi galantuomini pari vostri si può d’ordinario arguire dal nome l’essenza; da che siete subito chiariti quando vi udiamo nominare diomosche, o corruttore, o bugiardo. Alle corte, chi sei tu?

Mefistofele. Io mi son parte di quella possanza che vuole continuamente il male, e continuamente produce il bene.

Fausto. Che vuol dire questo arzigogolo?

Mefistofele. Sono lo spirito che nega continuamente; ed è ragione; però che quanto sussiste è degno che sia subissato; e sarebbe stato pur meglio che niuna cosa fosse mai uscita ad esistenza. Or