Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/84

76 fausto.

ombra — o è realtà? Ve’ come il mio barbone diviene grande e grosso! Egli si leva tremendo, e omai non ha piú forma alcuna di cane. Che razza di spettro mi son io messo in casa! Già già uguaglia un ippopotamo con occhi di fuoco e fauci spaventevoli. Oh, tu sei mio di certo! Per simili spurie generazioni dell’inferno la chiave di Salomone è il caso.

Spiriti nel corridoio.

    Uno quiv’entro è preso!
    Deh, state fuor chè non v’incolga male.
    Come volpe nel laccio
    Che al valico l’è teso,
    Una vecchia, infernale
    Lince sta sbigottita in grande impaccio.
               Ma lesti l’ale,
           Spirti, spiegate,
           Su, svolazzate
           In qua ed in là,
               E scioglierassi.
           Vuolsi aiutarlo,
           Veder di trarlo
           A libertà.
               Quel che a lui fassi
           È di dovere,
           Chè anch’ei piacere.
           Sempre ne fa.

Fausto. Primieramente per affrontare la belva mi convien adoperare lo scongiuro dei quattro:

            Salamandra ha da infocarsi,
        Ondina volversi,
        Silfo dissolversi
        E Coboldo affaticarsi.