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74 fausto.


STUDIO.


FAUSTO entrando col barbone.


Ho lasciato le praterie ed i campi velati dall’ombre della notte, la quale empie la nostra anima di una segreta riverenza e di non so che pii presentimenti. Ora veglia in me la parte migliore di mia natura; le mie bieche voglie si riposano, e con esse ogni audacia alle male opere. Mi riarde nel petto l’amore degli uomini; riardemi l’amore di Dio.

Sta cheto, barbone! non correre così in qua e in là! E che vai tu odorando costì presso al limitare? Ti adagia dietro la stufa; ed eccoti il più soffice de’ miei cuscini. Poichè fuori sulla via del monte ci hai ricreati con balli e con giravolte, sii ora il ben venuto; goditi le mie cure, e sta cheto.

Ah! al soave riardere della lucerna nella nostra povera cella, un dolce sereno si diffonde pure nell’anima nostra, e l’uomo si raffronta con sè medesimo: la ragione ripiglia il suo discorso, e torna a fiorire la speranza. Noi aneliamo di bere alle fontane della vita, — oh, al gorgo profondo dal quale scaturisce ogni nostro refrigerio.

Barbone, non fare quegli urli! Il tuo bestiale guaire mal può accordarsi con la santa intonazione che ora mi comprende tutta l’anima. Ben sogliono gli uomini schernire quello che non intendono; e gli udiamo mormorare contro il bello e l’onesto che spesse volte son loro di noia: ora vuol forse anche il cane col suo schiattire imitarli? Ma, oimė! che col