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parte prima. 57

questo regno delle tignuole mi assiepano d’ogni intorno? E potrò io qui trovare quello di cui ho manco? O vorrò forse leggere in mille volumi che gli uomini si sono in ogni tempo tormentati fra loro, e che di quando in quando è apparso qualche felice?

E tu, cranio vôto, a che stai tu sgrignandomi così? Vuoi tu dirmi che un tempo il tuo cervello fu scompigliato come il mio; che tu pure ardesti dell’amore del vero; tu pure cercasti il lucido giorno, e andasti pur sempre aggirandoti in un doloroso barlume? E per verità voi ancora, stromenti, vi fate beffe di me, voi ruote e dentelli e cilindri e manubri. Io stava alla porta, e toccava a voi a farmi da chiave. Veramente sono mirabili que’ vostri ingegni, ma non sapete alzare il chiavistello. La natura, misteriosa anche nel pieno del giorno, non patisce che alcun mortale tolga mai il suo velo; nė per forza di lieve o di viti tu puoi condurla a discoprirti quel ch’ella vuol nascondere al tuo intelletto.

Vecchie suppellettili, delle quali io non ho mai fatto uso, voi non siete ora qui se non perchè mio padre soleva valersi di voi. E tu pure, antica carrucola, — oh, come se’ tutta sozza del fumo della lucerna per tanti anni arsa su questo scrittoio! Sarebbe stato pur meglio ch’io avessi sprecato il mio poco, anzi che non averne altro pro che le noie di custodirlo. Indarno tu hai accolto l’eredità de’ tuoi padri, se non sai goderne: quello di cui non usi è un inutile ingombro, e non puoi nel momento giovarti se non di quelle cose che conduce seco il momento.

Ma perchè il mio sguardo si affissa pur sempre a quel luogo? È forse in quell’ampolla qualche fáscino