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56 fausto.

zione dell’uomo. Ora chi mi ammaestrerà? Che fuggirò, o che cercherò io? Obbedirò a quel primo impulso del mio petto? Ahi, coi nostri fatti, non che coi nostri patimenti, noi mettiamo inciampo al corso della nostra vita. La nostra mente non sorge mai tant’alto verso il suo eterno desiderio, che non porti sempre seco un duro e straniero ingombro che la ritorce alla terra; ma se conseguiamo le prosperità del mondo, allora diam nome d’illusione e di menzogna a quanto val meglio di esse. I nobili sensi che ne avevano levato a quel puro vivere intellettuale intorpidiscono sotto la soma degli affetti terrestri.

Nella stagione delle speranze la fantasia si stende con ali audacissime per l’immenso; ma un breve spazio le è abbastanza, allorchè tutte le venture, una dopo l’altra, se n’andarono naufraghe nel gorgo del tempo. La cura vien tosto ad annidarsi nel fondo del cuore, e vi genera segreti terrori; vi si dibatte senza riposo, e vi scompiglia ogni conforto e, ogni pace. Ella prende nuove forme continuamente; ed ora è la casa e il podere, ora la donna e il figliuolo; e quando pare acqua, fuoco, pugnale, veleno. Tu tremi di mali che non ti colgono mai; e lamenti del continuo ciò che mai non ti avviene di perdere.

No, io non somiglio a’ celesti! io il sento troppo addentro nell’anima; io somiglio al verme che si volge faticosamente nella polvere; e mentre va pascendo per la polvere, il viandante lo calca col piede e lo seppellisce.

E non è forse polvere tutto ciò che in cento spartimenti si addossa a quest’alta parete? non polvere le anticaglie, le stravaganze di mille maniere che in