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54 fausto.

Vagner. Scusatemi! egli è pur dolce l’ingolfarci nei secoli andati, rivolgere lo spirito dei tempi, veder quel che un savio pensasse prima di noi, e come noi, allargando la sua sapienza, abbiamo di poi steso un sì alto volo sovr’esso.

Fausto. Oh, sì, alto sino alle stelle! Amico mio, i secoli andati sono per noi un libro suggellato con sette suggelli; e quel che voi dite spirito dei tempi non è, in ultimo, che lo spirito di alcuni ciarlatori, dal quale i tempi hanno preso sembianza. Se sei sano di mente, tu non hai che a mettere lo sguardo in quelle farragini per andartene pien di fastidio in ogni dì della tua vita. Egli ti par di vedere un cestone di spazzature, un ripostiglio di masserizie disusate e logore, o, se più vuoi, una commedia di regni e di re, impinzata di pompose sentenze a lor uso, quali si converrebbero maravigliosamente nelle bocche dei burattini.

Vagner. Ma e il mondo? la mente, il cuore dell’uomo! Ognuno vorrebbe pur conoscerne qualche cosa.

Fausto. Sì, quel che gli uomini chiamano conoscere. Chi osa dir pane il pane? I pochi che n’ebbero qualche conoscenza, e, stolti! non seppero contenere il lor cuore, anzi sparsero nel volgo quello che delle cose sentivano e intendevano, furono da tempo immemorabile crocefissi od arsi sui roghi. Amico, la notte è molto innanzi, e ne giovi interrompere per ora, ve ne prego.

Vagner. Io avrei pur volontieri vegliato più a lungo in sì dotti ragionamenti. Ma domattina, poichè è domenica di pasqua, vogliate permettermi ch’io