Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/515


parte seconda. 507

   Coll’error primo e con me stessa in guerra,
   Di che ’l Sommo Fattor laudo e ringrazio;
   Per quell’addio che innanzi la partita

    supplicandola Zosimo a proseguire, la donna ripigliò: “Quel giovane si ritrasse col sogghigno sulle labbra; ed io, gittata via la conocchia, corsi alla riva dove stavano a crocchio parecchi giovinastri, che mi parvero acconci mirabilmente pel caso mio, e fattomi largo fra loro sfrontatamente: Fate ch’io siavi compagna, dovunque abbiate intenzione di recarvi, ed io non sarovvi sconoscente del beneficio. — E tenendo secoloro mille altri laidi propositi, di che ridean essi sgangheratamente, si pose il piè sulla nave che non tardò a staccarsi dalla riva. Qual lingua varrebbe a dire, e quale orecchio ad intendere quanto successe lungo il viaggio? Trovai nuovi artifizi a sedurre que’ medesimi che di me non eran vogliosi; e de’ più svergognati misteri mi fei loro maestra. Chiedo oggi ancora a me stessa, come mai abbia potuto il mare sostenere in sul dorso tai mostri di lascivia, e come non siasi spalancata la terra ad inghiottirmi tutta viva ne’ suoi abissi. Ma pieno è il Signore di misericordia, e la morte non vuole del peccatore. Così arrivammo in Gerusalemme, dove i miei giorni trascorsero ad una medesima guisa fino a quello della festa: le infami tresche della nave si ripetevano colà, ed altre peggiori se ne aggiungevano forso, riuscendo io ad allacciare indigeni e forastieri. Frattanto, la santa festa della Esaltazione della Croce era venuta; ed io mossi di buon mattino al tempio, dove il popolo accorreva in gran folla. Fra gli spessi urtoni della calca, giunsi a penetrare fin del vestibolo, e presso alla porta. Quivi, oh prodigio! mentre ad ogni altro venía dato l’ingresso, me riteneva a forza una mano divina, quasi che volesse interdirmi l’entrata nel santuario: e quante fiate m’industriava a varcare alla mia volta la soglia, altrettante una man di ferro aggravavasi sopra di me, a tale ch’io sola rimasi dentro al vestibolo. Traendomi allora in disparte, mi diedi tra me ad investigare la cagione del prodigioso avvenimento, e perchè mi si togliesse l’assistere al lieto spettacolo di quella Croce che è fonte di vita. E com’io scandagliava gli abissi della mia coscienza, profondi sospiri mi uscirono fuori del petto, e gli occhi si sciolsero in amarissimo pianto. E dal luogo ove stava, mi si diè a vedere, nell’alto del muro, entro ad una nicchia, l’immagine della Madre di Dio, verso la quale colle tese braccia gridai in suon dilamento: Voi siete la purissima in fra le verigini, ed io miserabile sono ravvolta da capo a’ piedi nel fango del peccato. Pietà d’una sciagurata, e fate ch’io possa per la mia salute venerare la croce del vostro divino Figliuolo. — E di tratto acchetavasi lo spirito, e mista un’altra fiata alla calca de’ fe-