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506 fausto.

   Per quell’acerbo strazio
   Cui dolente e pentita
   Ben otto lustri colaggiù sostenni

    in piedi ambedue. Ciò fatto la donna, voltasi all’Oriente, e sporgendo verso il cielo le mani, diessi a pregare senza muover labbra; e Zosimo stupiva in veggendola, colta da estasi, sollevata da terra un cubito, e tutto impaurito e tremante, cadde boccone in sul terreno, gridando: “Signore, abbiate pietà di noi!” poichè faceva pensieri, più che umana creatura, quello essere un Angelo. A quelle voci la sembianza, volgendoglisi: Chi è, disse, che ti scandolezza? Non che io mi sia un Angelo, sono anzi una femmina peccatrice, battezzata in nome del Signore.” Riavutosi allora il vecchio, le tornò a dimandare chi fosse, e come in quella solitudine venuta; ed ella non fu schiva di narrare la propria istoria, anzi che per suo gran vanto, per andarne al postutto raumiliata e confusa, non altro conoscendosi che un vaso di lordura sul quale avea la grazia divina operato di grandi prodigi. “Nacqui in Egitto, donde, abbandonati in sui dodici anni i parenti, mi recai in Alessandria. Non dirò, com’io abbia la mia innocenza perduta, e come, di vizio in vizio, trascorressi nella più abbominosa dissolutezza, chè il solo pensiero degl’insaziabili appetiti cui era in balía, mi trae le fiamme in sul viso. Codesto vivere licenzioso durò ben diciassette anni, e più ancora. Nè a prezzo d’oro fu già compra la mia vergogna, nè pur solo ebb’io accettato alcuno de’ mille presenti ch’altri farmi volesse, pensando, nella sfrenata libidine che mi struggeva, di crescere, così facendo, ogni dì più il numero de’ miei amanti. Pertanto, di poche radici silvestri cibandomi, consumava nell’inopia l’età, e nondimanco pareami nella pienezza della voluttà essere oltremodo ricca e felice. Un giorno, al tempo della marèa, mi fu veduta gran moltitudine di Lesbi e di Egiziani in porto raccolta. — Dove vanno costoro? dimandai al vicino; ed egli rispondeva: Vanno essi a Gerusalemme per assistere alla festa dell’Esaltazione della Santa Croce. — Credi tu, ripigliai io, ch’eglino mi volessero condurre, s’io avessi talento di partire con loro? — E colui: Se hai danaro per pagarne l’imbarco, nessun certo te lo impedirà. — Ed io replicai: Non ho dì che pagare il nolo, e tuttavia son deliberata di partire sur una di quello navi. Converrà bene ch’altri suo malgrado facciami le spese, però ch’io mi darò loro in braccio, e i miei vezzi saranno la moneta con cui soddisfarò al mio passaggio. — Abbimi per iscusata, venerabile vecchio, e non volere ch’io enumeri uno ad uno i disordini della mia vita. Dio sa che tremore ne provi ora pensando come ti offenda il mio dire, e come tutto ne sia quest’aere contaminato.” E