Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/504

496 fausto.

     A voi dinanzi ecco montagne e piante,
   Eccovi rupi dal nevoso dorso,
   Ecco un torrente torbido, spumante
   Che per aspri dirapi affretta il corso.

I Fanciulli Beati, dal fondo del suo cervello.

   Bello a veder, ma di mestizia pieno
   Luogo ne pare orribile, selvaggio!
   Trema di freddo e di paura il seno;
   O buon padre, ne dà che il bel viaggio
   Ricominciam per l’etere sereno!

Pater Seraphicus, ridonando a’ pargoli il volo.

     A’ più sublimi vertici movele
   Insino a’ cerchi della luce estremi,
   E attoniti del come, a tutti ignoto,
   Qual fra’ celesti avvien, sempre crescete.
   Per l’azzurrino vuoto
   Itene ognor più ratti
   Dalla divina attratti
   Somma virtù ch’è pascolo dell’alma!
   Dessa è colei che in viva fiamma rota
   Su per l’etere accenso;
   Dessa è colei che al senso
   Ottuso de’ mortali i santi apprende
   Pensier, chi ben l’intende;

    Ed ecco, grazie ad un tal senso da Goethe posseduto in grado così squisito, e ch’io appellerei di buon grado il senso della località, ecco come la poesia de’ più strani traviamenti della ragione umana si giova. Per vero, gli atti della pazzia altra cosa in fondo non si hanno a dire, salvo atti fuor di luogo operati. Traeteli dal centro dove si compiono, per trasportarneli in un punto di azione regolare, e li vedrete mutar faccia di netto. Veruno al mondo ebbe mai compresa meglio di Goethe codesta impassibilità del gran poeta, seduto in fondo al suo Olimpo, e che piglia qua e colà, nel caosse, gli elementi per coordinarli e classarli.