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488 fausto.

    Quando va in frega. Di grazia! appressatevi;
    Un guardo almen de’ vostri occhietti vividi!

(Gli Angioli si sparpagliano da ogni parte nello spazio.)

Gli Angioli.

    Or come va, che tu ci chiami, e poi
    Fuggi il nostro drappel che ti circonda,
    E viepiù ti si accosta? Or sta, se puoi!

(Gli Angioli si avvicinano occupando tutto quanto lo spazio.)

Mefistofele, indietreggiando fin sul proscenio.

    Ah! fattucchieri, voi chiamarne dèmoni
    Solete — come ciò, se furbi e pratici
    Siete cotanto sortilegi a tessere,
    O incantatori al par d’uomini e femmine?
    Oh caso malandrin! — D’amor solletico
    Questo forse saría? D’amor? Se struggemi
    I nervi e l’ossa un cosiffatto incendio,
    Che il tristo diavolío quasi insensibile
    Emmisi reso del tizzon cadutomi, —
    Ahi! tradimento infame! — in sull’occipite
    Che d’indi in poi non rifinisce d’ardere. —
    Voi gironzate qua e colà pel candido
    Fulgore, ma un tal po’ quindi abbassatevi
    Pur, come suole augel da’ rami scendere.
    Oh! l’alma voluttà che di voi piovere

    a subire una incarnazione bassa e grossolana; l’angelo caduto impastoiato nel materialismo dell’animale. Se ciò non fosse, se codesta bestialità non l’opprimesse, il male sarebbe il solo donno del mondo, che tutto quanto avrebbelo invaso a quest’ora. Per ventura, e ciò nelle sue più ardite intraprese, la sua natura abbietta e degradata trapela sempre da qualche punto. Ora è il piè di cavallo, ora ne lo scopre il fetore del becco, e quando la lussuria del gatto ec.