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480 fausto.

     A torrenti fuor fuor vampe traboccano
     Di vorticose fiamme, e in mezzo a’ turbini
     Di negro fumo il ribollir continuo
     Della città del foco a me s’affaccia.
     Ondeggia e tuona e sibila l’incendio;
     Ed a bisdosso, alme dannate, orribili
     Dal gorgozzule urla mettendo e rántoli
     Pur fiduciosi del perdon, sul vertice
     Della voragin cupa a nuoto salgono. —
     Ma quella rinchiudendosi gli stritola;
     Ed essi allora in fra le grida e i gemiti
     Per la via dolorosa all’imo tornano.
     Oh! quante ne son pur doglie in quest’andito
     Ov’io mi tuffo! Oh quanta in breve margine
     Onda di foco e di martíri! Egregia-
     mente operate voi cotal nell’intimo
     De’ peccatori alto sgomento a incutere!
     Ei ciò menzogna e gherminelle appellano.

(Ai diavoli corpacciuti dal corno breve e diritto.)

     E voi melensi dalla gran ventraia,
     Dalle tumide gole, o porci stupidi,
     Grassi bracati pel cibar soverchio
     Di bitume e di zolfo, o vive fiaccole,
     Cui nelle spalle s’incaverna il lumido
     Proteso collo, che non mai vi veggia
     Dallo spiar laggiù gli occhi rimuovere! —
     Se cosa alcuna evvi che laca, o vivida
     Una scintilla, o palpitar di fosforo
     Vi si palesi, un’alma ell’è, sappiatelo!
     Psiche è colei che a vol batte le roride
     Penne, raggiante farfalletta, nobile
     Aggraziata fanciulla; in lei s’incarnino