Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/481


parte seconda. 473

  Ci siete innanzi, indarno uom si riprova
  A schermirsi da voi; chè vie più forte
  In vostra possa lo avvinghiate, e i crudi
  Lacci a spezzar forza nè ardir non vale.
  Eppure, Affanno, eppur — sia quanto vuolsi —
  Del tuo braccio il poter l’alma sconosce.

L’Affanno.

       Lo sconosci? — E partendo — l’impreco!
     Già tremendo — sol capo ti sta.
     Infra’ ciechi mortali tu cieco,
     Fausto, a viver la vita ne va! (Gli soffia nel viso.)

Fausto, divenuto cieco.1

  Negra sul ciglio più e più s’aggreva
  Notte profonda, ma più viva sempre
  Sul cor luce si spande; il mio segreto
  Palese al mondo or fia, però che senso
  Solo ha il verbo per lui che l’ha concetto.
  Suvvia, sul miei valletti, — all’opra! all’opra!
  Ciò che in mente volgea, tempo è che alfine
  Di fuor si mostri. Olá, mano alla vanga!
  Alle pale! alle picche! ardir! coraggio!

  1. L’infermità che l’ha colto, ben lungi dallo spegnere la sua attività, la stimola anzi viemaggiormente. La luce che raggiava al di fuori, va a concentrarglisi oramai tutta al di dentro. Cieco, il vedremo persistere ne’ suoi progetti creatori con più d’insistenza e di energia, e l’applicarvisi fia senza distrazioni dal vario spettacolo prodotto degli esteriori fenomeni. Nella tenebra degli occhi, diverrà l’anima più illuminata e più chiara: dal che trapela l’idea tutta cristiana di una vita nuova. Fausto, dopo essere passato per quanti ha gradi la umana felicità, conosce invecchiezza, come già Salomone, ogni cosa essere vanità. Gl’infortuni (le quattro Donne) sono avviamento a vita superiore; l’Affanno (per l’eterna salute di lui) lo accieca, onde, morto alla terra, spingasi a destino più elevato, e s’indirizzi all’Eterno, di cui presente lo avvicinarsi, mercè questa forza intuitiva che lo investe, disponendolo così alla sua finale apoteosi.