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parte seconda. 469

     E m’incalzi com’ombra! Oh! quando fia
     Che le innumere tue formole, e quei
     Scongiuri in cui fidanza ebbi cotanta
     Mi scordi alfin? Che non son io, Natura,
     Un uom dinanzi a te? Suprema allora
     Voluttade per me fòra la vita. (Pausa.)
     Un uom? Ahi! tristo a me! Cotale un tempo
     Non era io forse, pria che maladetto
     Con orrendo blasfema al cielo avessi
     Al suolo, al mondo, e a me? Pria che l’oscuro
     Buio a tentar vôlto mi fossi? Ingombro
     L’aere è cosi di larve e di paure,
     Che di fuggirle, ohimè! vana è ogni speme.
     Se nelle ore diurne han breve calma
     I tuoi pensier, fantasmi ed ombre a mille
     Tosto orrenda su te piove la notte.
     In serena d’april sera tranquilla,
     Al raggio amico della Luna, dai
     Campi fioriti il piè lieto rimovi.
     Tra le frasche un augel cantar s’intende;
     Or che canta egli mai? Pianto, e sventura!
     N’è a’ panni sempre, e n’ammonisce e preme,
     Con basso susurrar di note arcane
     Superstizion! e tristo e sbigottito
     L’uomoristà.... Sui cardini la porta
     Stride, e niun comparisce.
                    (Spaventato) Olà! Qualcuno
     Evvi?

L’Affanno. Il dicesti.

Fausto. E tu chi sei?

L’Affanno. Poffare!

     Io mi son.