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che raggiasse dal tuo diadema, discese per tal atto, in danno della cristianità, su quella fronte maladetta! Batti ora il tuo petto, e fa in questa fortuna illegittima, fa il debito luogo al santuario. L’ampio territorio di colline ingombro e di poggi dove la tua tenda s’ergeva, dove gli spiriti maligni ti vennero in soccorso, e dove tu prestavi facile orecchio al principe della menzogna, sia per te, in uso pio convertendolo, a qualche santa opera destinato. Vi aggiungi per dote la montagna, e la fitta boscaglia per quanta tratta quella e questa si stendono, le alture che ammantate di perpetua verzura porgono grassi pascoli al gregge, e limpidi stagni ove tanta è la copia de’ pesci, e i ruscelli senza numero che serpeggiando con rapido corso si precipitano in seno alla valle; e questa valle altresì, e i prati con essa, le pianure, le borre: così facendo li darai a vedere pentito, e la grazia scenderà sopra di te.

L’Imperatore. L’immensità del mio fallire m’empie tutto quanto di orror, di spavento! Segna tu stesso i confini, ch’io me ne rimetto al tuo senno.

L’Arcivescovo. Innanzi tutto, codesto spazio profano, ove la colpa veniva consumata, si voti fin d’ora al culto dell’Altissimo. Giả, col pensiero, parmi vedere forti e spesse mura elevarsi; il raggio del Sole oriente pel coro si spande a illuminarlo; l’edifizio in costruzione allargandosi, piglia forma di croce; la nave si prolunga, s’innalza sotto agli occhi de’ fedeli esultanti. Già, tutti infervorati fan ressa a guisa di fiume che traripi, dinanzi alle auguste porte. Il primo rintocco de’ sacri bronzi echeggia lungo i monti