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parte seconda. | 451 |
scere i beni da me ricevuti, al solo primogenito si consenta di ereditarne tanti e non più.
L’Arcicancelliere. Men vo tosto, pieno di letizia, a confidare alla pergamena codesto decreto che tanto rileva al nostro ed al pubblico bene. Il cavarne copia, e l’apporvi l’imperiale suggello fia compito della cancelleria: e tu poi, o sire, avrai la degnazione di convalidar l’atto colla sacra tua firma.
L’Imperatore. E adesso do a voi il commiato, affinchè possa ciascuno, nel raccoglimento, meditare su questa grande giornata. (I Principi temporali si allontanano.)
Il Principe della Chiesa, parlando con enfasi. Il cancelliere è partito, il vescovo rimane. Un grave presentimento lo spinge d’accosto al tuo orecchio, per avvisarli del rischio; le paterne sue viscere ansiose ed affannate per te sentono tutte commuoversi.
L’Imperatore. Qual mai angoscia può dunque straziarti in quest’ora di ventura e di gaudio? Parla!
L’Arcivescovo. Con che amarezza e cordoglio non veggo in tale istante il sacro tuo capo stretto in alleanza con Satana! Assicurato, è vero, per quel che ne pare, in sul trono, ma, ahi lasso! dispetto a Dio nostro signore, dispetto alla Santa Sede. Se n’avesse il Papa alcuna notizia, l’imporrebbe di tratto un terribile castigo, e col divino suo fulmine codesto impero, impero del diavolo, annienterebbe: chè non gli è ancora passato di mente, siccome, nel giorno della tua incoronazione, rimandasti libero lo Stregone. Il primo lume di grazia