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parte seconda. 447

sire, può leggere nell’intimo della mia coscienza, io son più che soddisfatto. Non mi fia disdetto, cred’io, lo spingere tant’oltre la fantasia che mi rappresenti la viva immagine di una tal festa? Tu stai assiso alla mensa, ed io son quegli che li porge la coppa d’oro; io che tengo le anella, onde in quei momenti d’ebbrezza e di voluttà, alle mani, intanto che una tua occhiata mi fa giubilare.

L’Imperatore. Per verità, troppo son io sbalordito, perchè possa nascermi in capo l’idea di comandare una festa; ma sia pur come ti aggrada! che eziandio dalla gioia un po’ di ben ne deriva. (Al terzo.) Io ti scelgo per grande scalco! Le cacce, l’uccelliera, i tenimenti sieno da ora in poi sotto la tua ispezione; a te lo invigilare che mi vengano messe in tavola in ogni tempo le mie pietanze favorite, secondo portano le stagioni, e soprattutto confezionate a dovere!

Lo Scalco. Mi sarà dolce cosa il tenermi a denti asciutti fino a tanto che, posto dinanzi a te, un piatto gustoso e succolento non t’abbia fatto buon pro! Gli ufficiali addetti alla cucina dovranno accordarsi meco, a ravvicinar le distanze, e ad affrettare le stagioni. Chè non sono nè i camangiari venuti di lontano, nè le primizie onde va superba la tavola, che ti fan gola; si veramente hai più cari i cibi semplici e sostanziosi.

L’Imperatore, al quarto. E dappoichè n’è forza il tener proposito di feste, tu, mio giovine eroe, li trasformerai in coppiere. Arcicoppiere dell’impero, sorveglia d’or innanzi a che le nostre cànove sieno